lunedì 24 febbraio 2020

Salotto in Biblioteca - incontro del 27_02_2020


Biblioteca Leronni
La cultura che non c’era

Salotto in… Biblioteca
2° incontro (74°)

Quando > Giovedì 27 febbraio 2020
A che ora > 20.00 precise
Dove > Biblioteca Leronni, Via Stella Polare 15-17, Gioia del Colle (BA)

Libro della serata:
La notte di Elie Wiesel (Giuntina)

In questo libro, Elie Wiesel scrive:

“I giorni assomigliavano alle notti, e le notti depositavano
nella nostra anima la feccia della loro oscurità.”

L’ingresso è libero per tutti. È bene – ma non obbligatorio – leggere il libro prima.

Il Salotto in… Biblioteca, ideale proseguimento del Salotto all’UnoTre, nasce da un’idea di Giacomo Leronni, che lo conduce.

Coconduttore della serata: Aldo Buonaccino D’Addiego

In questi anni, al Salotto, abbiamo letto e commentato libri di: Aleksievič, Amis, Auster, Benni, Berberova, Bernhard, Bolaño, Borges, Bradbury, Brodskij, Brokken, Cain, Carrère, Cercas, Chiara, Cohen, Corti, DeLillo, Desai, Dick, Djebar, Doctorow, Echenoz, Gorz, Greer, Guerri, Gustafsson, Handke, Highsmith, Jelloun, Kadaré, Khadra, Kundera, Kureishi, Larsson, Lem, Lemaitre, Lewis, Lobo Antunes, Magrelli, Magris, Mannuzzu, Maraini, Marías, C. McCarthy, McEwan, McGrath, Mishima, ModianoMunro, Murakami, Nafisi, Némirovsky, Nooteboom, Oates, O'Brien, Ortese, Osorio, Oz, Paasilinna, Robinson, Rodoreda, P. Roth, Serrano, Soriano, Tabucchi, Trevor, Vassalli, Wharton, Winton,Yehoshua, Živković, Zweig.

I demoni (Fedor M. Dostoevskij) recLauAlb


Salotto in Biblioteca del 27/12/2019
«I Demoni» di Fedor M. Dostoevskij

Commento di Laura Albino

La Russia, nella seconda metà del 1800, fu caratterizzata da una forte disgregazione sociale tra l'alta borghesia ed il proletariato, tale grande crisi socio-politica-economica provocò la conseguente nascita di gruppi costituiti da giovani rivoluzionari che per il loro malcontento sfociarono in una vera e propria ribellione. Si trattava di contestatori anticonformisti, che agivano all'interno di varie organizzazioni capeggiate da leader che erano ritenuti scomodi per la società. L'autore con il titolo del suo romanzo, intende attribuire il nome «demòni», alle vite di quegli agitatori nichilisti che il più delle volte con il loro fare minaccioso, intraprendevano la via del male. Nel romanzo tante sono le storie che si intrecciano, destini di giovani che vivono la loro vita con grandi disagi, dolori e tradimenti, soffocati da una grande inquietudine interiore, ma nel contempo, quelle anime perdute recavano anche tante speranze. L'esposizione delle vicende viene fatta da un narratore che non si limita nel raccontare gli accadimenti, ma, di tanto in tanto fa delle vere «zummate« sui personaggi evidenziando ogni caratteristiche fisica, ogni movenza, tanto utili al lettore per poter cogliere di essi la vera essenza. Inoltre, il più delle volte, entrando nel ruolo anche di cronista, si concede delle considerazioni e riflessioni personali intorno agli accadimenti che fungono da raccordo nella narrazione. Il lettore così, accompagnato «step by step»  arriva alla piena comprensione dei fatti narrati, infatti, nonostante la copiosità dei personaggi e l'intreccio delle vicende, a fine lettura, tutto risulta molto chiaro.
Il romanzo tratta una lunga storia in un clima stridulo e lacerante dove il vero amore non trova riscontro in alcun personaggio, tutte le relazioni sentimentali risultano essere futili, inconcludenti, trattasi di individui ai quali mancano delle buone risorse comunicative utili a rafforzare ogni relazione sociale. Ci si viene a confrontare con famiglie dove l'assenza di entrambi i genitori crea mancanza di unione e di dialogo all'interno di essa, quegli elementi essenziali che contribuiscono a dare ordine alla vita dei propri figli e non a formare giovani dissoluti. 
Tutti i mali perpetrati da Petr e da Nikolaj non sono altro se non la derivazione del totale abbandono a se stessi per le mancate ideologie, le idee e i progetti futuri per la loro vita, e così precipitano per inezia nel vizio, in azioni aggressive incontrollabili quasi colmi di follia. Il romanzo, per le suddette tematiche e problematiche, risulta essere attuale anche nei nostri giorni e lo potrà essere anche in epoche a venire, perché evidenzia il conflitto perenne esistente tra le due generazioni, quella dei padri e quella dei figli. Nel romanzo veniamo a confrontarci con genitori smidollati, incapaci di gestire le tendenze dei propri figli: Stepan, padre di Petr, il leader della cellula rivoluzionaria nonostante sia una persona portatrice di saperi, non risulta essere modello da imitare, come pure Varvara, madre di Nikolaj, che pur occupando nella società un ruolo prestigioso, in quello genitoriale risulta essere fallimentare. Queste due figure, pilastri di un piccolo nucleo sociale, quale la famiglia, pare che vogliano rappresentare simbolicamente ed in forma allargata la grande madre Russia nel rapporto che in quel momento storico ha avuto con il suo popolo, così quei due giovani, ritenuti contestatori nichilisti, rappresentano l'intera società russa in dissoluzione. Essa, infatti, nonostante sia grande portatrice di cultura, come quella di Stepan e sia una grande potenza economica come quella di Varvara, risulta altrettanto fallimentare perché non è in grado di offrire certezze alle nuove generazioni, che in tutta la loro purezza attraverso quegli impeti di ribellione quasi colmi di follia, rivelano una grande sete di richiesta di ordine e di uguaglianza sociale. Petr e Nikolaj sono i simboli di tutti i mali, i veri bacilli sovversivi che minano la Russia, grande è l'insoddisfazione esistenziale perenne che li investe accompagnata dall'ansia di fede che si nasconde dietro il loro esasperato cinismo nella negazione di Dio. Dostoevslkj non condivide i loro comportamenti estremi in quanto essi sono il frutto di una mancata conoscenza e totale indifferenza verso il bene ed il male. Egli ritiene che tutti i mali che nei secoli si vanno accumulando, ricadano sempre più minacciosi e indemoniati sulle nuove generazioni, siamo sempre noi i figli dei figli di quei porci che si lasciano impossessare dalle malvagità senza opporre alcuna resistenza, che ci nutriamo di ogni male, perdendo di vista la strada maestra, quella che conduce al bene; solo attraverso la conoscenza del Vangelo potremmo imparare a discernere il bene dal male e a correggere gli errori di cui ognuno di noi è colpevole. L'autore quindi, in quel mondo indemoniato, coinvolge ognuno di noi, infatti le contestazioni giovanili continuano a perpetrarsi fino a quando non cambieranno non solo quelle grandi forme di disuguaglianza culturali, sociali, ideologiche e politiche, ma soprattutto fino a quando non si ritroveranno quelle forme di fede , di religiosità, di moralità sociali capaci di uscire da quel labirinto in cui ognuno di noi è rimasto intrappolato. 
Nikolaj alla presenza del suo confessore, si abbandona alla sua cruda confessione apre il suo cuore dopo essersi risvegliato dalla sua cecità morale, tutti i suoi misfatti, le sue scelleratezze, ora hanno ceduto il passo alla ragione, vengono da lui rimossi con il suo pentimento, lo spirito maligno e beffardo, quel demònio che lo aveva intrappolato nella sua rete, attraverso quell'atto di dolore nato dal profondo del cuore e da lui stesso scacciato raggiunge lo stato di indefinita beatitudine, ora è sereno e pacifico ed è pronto ad elevare il suo pensiero a qualcosa di sublime, disvelandosi è consapevole di essere odiato e ripudiato da tutti, ma nel contempo confida nel perdono da parte di un Essere Supremo. L'autore, attraverso la meravigliosa descrizione delle ultime ore di vita di Nikolaj e anche di Stepan, descrive la morte come momento di trasfigurazione, di contemplazione e momento culminante per la salvezza delle anime. Dostoevskij pone la morte al vertice della contemplazione dell'uomo, il momento che la precede ci viene incontro per offrirci delle buone speranze, delle buone opportunità: ci invita a risvegliare le nostre coscienze così da saper discernere ciò che è bene da ciò che è male, ci richiama a compiere quell'atto di fede che dovremmo coltivare durante la nostra esistenza per poter godere della presenza di quel grande fuoco, di quell'insuperabile sentimento che arde e anela verso quel Dio che è solo amore. Ogni uomo in vita con il suo credo si dovrebbe inchinare alla Sua grandezza, dovrebbe valorizzare la sua presenza costante nelle propria vita, ma ahimè forse i più rimangono indifferenti nel riconoscerLo, Lui ci riserva un'ultima strada maestra: ogni anima dissipata dalle tenebre, può chiudere e coronare il suo percorso terreno con il pentimento, con la confessione, affinché rimosso ogni peccato possa partecipare alla gloria eterna. Kirillov che si uccide per negare l'esistenza di Dio, è una immagine dell'odio come fine suscitato dai sostenitori dell'inesistente. Dostoevskij con il suo scritto invece, ci dà delle certezze, ci invita ad andare alla ricerca di quella grande “IDEA”, l'Idea dell'Assoluto, di quell'infinitamente grande, di quell'essere che ci ha creati a Sua immagine e somiglianza e ci ha resi uomini liberi, ci ha donato la grande libertà di pensiero a difesa della grande sacralità della nostra vita, l'uomo è di Dio e nessuno è padrone della propria vita.

I demoni (Fedor M. Dostoevskij) recSebAdd


Salotto in Biblioteca del 27/12/2019
«I demoni» di Fedor M. Dostoevskij

Commento di Sebastiano Addabbo

È Umberto Eco a dirci che “scrivere un romanzo è una faccenda cosmologica; cioè che per raccontare bisogna costruirsi un mondo, le parole verranno quasi da sole «Rem tene,verba sequentur…»
Ebbene è la conoscenza di questi Mondi che ci consentirà di poter intraprendere una lettura consapevole di Dostoevskij: in particolare dei capolavori quali «Umiliati e offesi», «Memorie del sottosuolo», «Delitto e castigo», «il Giocatore», «I Demoni», tutti appartenenti alla seconda stagione della sua produzione artistica, quella in cui abbandona le aspirazioni “occidentaliste” cioè libertarie e di democrazia, mutuate dalla Rivoluzione Francese, adombrate in Povera gente, per riconoscersi nelle posizioni slavofile intrise dell’ortodossia salvifica e conservatrice della Chiesa Russa.
Due di questi Mondi, quello “esterno” rappresentato dalla cultura Russa dell’Ottocento e quello “interno” dell’esplorazione dell’inconscio, li possiamo utilizzare quali schemi interpretativi per alleviarci dalla fatica che sempre ci attanaglia ogni qualvolta leggiamo le opere di uno dei più grandi romanzieri della storia della letteratura universale.

Il “Mondo” della cultura Russa dell’Ottocento.
Allo spietato controllo dell’assolutismo zarista anche sui processi culturali si oppose parte della classe intellettuale e di una nobiltà illuminata: quest’ultima con i suoi Salotti letterari e circoli culturali, raffigurano gli unici luoghi di rappresentanza di istanze partecipative a progetti politici innovativi anche se spesso utopistici e violenti, di una generazione di scrittori e intellettuali che saranno, nonostante frustranti fallimenti, comunque fonte di una nuova identità nazionale. Ed è proprio in questi Salotti letterari che Dostoevskij ci introduce sin dalle prime pagine del suo romanzo I Demoni, facendoci vivere le intricate vicende umane di una nobiltà russa che se da un lato è chiusa ad ogni istanza di “occidentalizzazione” permette, dall'altro, l’aggregarsi di una intellighenzia letteraria e intellettuale che, preconizzando una utopica nuova Società, si destina come già accennato al totale fallimento in quanto sceglie la violenza e il terrore quale unico strumento di azione politica per l’emancipazione dell’Uomo.

Il “Mondo” dell’inconscio
No !, non cerchiamo l’Io narrante onnisciente che ci rassereni e ci accompagni nella comprensione delle vicende narrate: è nell'intrigo tortuoso della mente umana tipico dello scavo dostojevskiano, che dobbiamo ricercare il significato ultimo della storia che ci viene raccontata: labirinto della coscienza trasfuso nei molteplici protagonisti, con lo strumento narrativo della focalizzazione interna e dell’autonomia dei punti di vista di ogni personaggio (Romanzo “Polifonico”, definizione del critico russo Michail Bachtin), intessuti con dialoghi di straordinaria potenza narrativa.
Prenderemo così atto che Dostoevskij con I Demoni, e gli altri capolavori citati, non solo ci anticipa di decenni quello che per letteratura europea sarà la stagione del “Romanzo psicologico “, ma ci disvelerà anche una imprevista capacità della conoscenza dell’agire umano, attribuibile alla Letteratura, superiore alla stessa Filosofia (come a riguardo ci confermano i più recenti orientamenti critici ).

venerdì 21 febbraio 2020

Eventi - marzo 2020

Marzo 2020


1 marzo
Ore 18.00 - sede Nartist a Palazzo Nico
sfilata juni canosa

1 marzo
Ore 17.00  – CAP
“Io, noi diritti e doveri ” 
Legalità e libertà con Cinzia Catacchio

1 marzo
Ore 18.30 - Masseria canale a Levante 
"Giobbe" di Antonio Minelli per rassegna Admoveo 

5 marzo
Ore 18.00 - Chiostro Comune
Schegge di memoria
"Bari Calibro 9" di Domenico Mortellaro

LeG - LIbertà e Giustizia "Vito Antonio Vinci"


6 marzo 
Ore 17.00 - Auditorium  Liceo scientifico Canudo
Incontro con Rocco D'Ambrosio


18 marzo
Ore 17.30- Auditorium  Liceo scientifico CanudoSchegge di memoria
"Piazza Fontana. Il processo impossibile" di Benedetta Tobagi

LeG - LIbertà e Giustizia "Vito Antonio Vinci




lunedì 10 febbraio 2020

Il soccombente (Thomas Bernhard) recSebAdd

logo Biblioteca Leronni

Salotto in Biblioteca del 28/11/2019
«Il soccombente» di Thomas Bernhard

Commento di Sebastiano Addabbo

La formula ridotta del monologo interiore del narratore sembra introdurci ad una lettura di veloce respiro tipica del récit in realtà le articolate sintassi dei periodi , l’utilizzo del discorso indiretto libero conclusi con epistrofi utilizzati come artifizi narrativi per dar voce agli altri personaggi (turn ancillaries) , immergono il lettore in una asfissiante quanto intensa narrazione nella quale si delineano , con diversi gradi di approfondimento i personaggi del romanzo: il narratore stesso, Wertheimer e la sorella , Franz, la locandiera e Glenn Gould.
L’Io monologante, uno dei tre virtuosi del pianoforte insieme a Wertheimer e Glenn Gould, ci costringe alla lettura di ossessivi quanto mordaci nuclei tematici di flussi di coscienza tutti intesi alla ricerca di una personale salvezza dall’abisso disperante derivato dalla constatata inadeguatezza artistica rispetto alla genialità dell’amico Gould .Inadeguatezza che si concluderà con tormentato ma risolutivo abbandono dell’attività artistica.
E’ Wertheimer invece il simbolo del drammatico annichilimento ,del totale annientamento del proprio essere fino all’estremo gesto, conseguenza della inferiorità oggettiva del proprio talento rispetto a quello geniale di Gould. Non gli resta che l’ irreversibile soluzione finale rispetto alla quale l’Autore sembra voler utilizzare categorie filosofiche dell’Esistenzialismo Heideggeriano, rese esplicite dalle stesse parole di Wertheimer quando -riferendosi anche alla sorella- non perdona “…al padre di averci fatti e alla madre di averci gettati nel mondo…” : qui il riferimento alla locuzione di Heidegger “essere-gettato” è del tutto esplicito con la drammatica conseguenza ,per dirlo ancora con le stesse parole del filosofo tedesco ,di non essere stato “pastore del proprio essere”.
Ed ecco delinearsi la figura del genio Glenn Gould ; responsabile inconsapevole del destino dei due colleghi con i quali ha condiviso le Lezioni di musica di un grande Maestro a Salisburgo. Salisburgo città triste e piovigginosa dove tutto ha inizio: una fievole amicizia , una impossibile competizione artistica, e l’ inesorabile marchio di “soccombente” che lo stesso Glenn attribuirà a Wertheimeir con sprezzante sarcasmo, talvolta, proprio dei geni.
Infine la “normalità”, la vita che ci assomiglia di più.
La desolata locandiera, amante fugace e triste consolatrice di un Wertheimer, del quale non comprenderà mai come avesse potuto coniugare la infelicità con la ricchezza.
La sorella di Wertheimer e la sua fuga verso la “normalità”: il matrimonio con il ricco industriale svizzero, dopo anni di sottomissione maniacale al fratello. Fuga che viene vissuta da Wertheimer come abbandono e ultimo tradimento della famiglia già odiata.
Infine Franz boscaiolo al servizio di Wertheimer e addetto alle faccende domestiche della casa umile testimone e cronista degli ultimi convulsi giorni di vita del suo padrone.
Questi ultimi tre personaggi c’inducono ad una conclusione non adombrata dall’autore ma sperata dal lettore e cioè della inevitabile accettazione della nostra esistenza alla semplicità , essenzialità, ed unicità confortati dalla consolazione che tale accettazione , anche se talvolta disperante , accomuna la quasi totalità del genere umano.

domenica 9 febbraio 2020

Il soccombente (Thomas Bernhard) recLauAlb


Salotto in Biblioteca del 28/11/2019
«Il soccombente» di Thomas Bernhard

Commento di Laura Albino

copertina Il soccombente
Thomas, per generare il suo libro, da lui fortemente voluto, ha impiegato ben nove anni, è stata, come egli stesso dice una scrittura molto sofferta in quanto avendo accumulato nel tempo una infinità di bozze, gli risultava un'impresa difficile ricollegare il tutto. Thomas, ha avuto l'ispirazione di scrivere qualcosa su Gleen, e su Wertheimer, due giovani coetanei che aveva conosciuto durante l'età adolescenziale. Thomas, per il semplice fatto di essere stato accanto a loro per un lungo periodo, si prefigge l'obbiettivo di ricostruire non solo alcune vicende comuni, ma anche personali che per motivi sconosciuti vengono occultate nella sua biografia, infatti in essa si fa soltanto un breve cenno intorno allo studio della musica che aveva intrapreso come unica forma di evasione in un periodo molto buio della sua vita, ma dei suoi virtuosismi musicali, non si parla, anche se questo occultamento ha fatto sì che i riflettori si puntassero suoi suoi romanzi. Un libro che nasce dalla volontà di voler mettere ordine al suo vissuto, si tratta di dirigere la sua mente nel ricordare le esperienze passate e questo finalmente gli riesce con la produzione di un'opera letteraria a cui dà il titolo: “Il soccombente”. Trattasi di un lungo monologo, che si lascia leggere tutto d'un fiato, con lo stesso ritmo e gli stessi tempi variati di una vera e propria partitura musicale, il lettore non può fare a meno di ignorare quel verbo usato al passato remoto “ PENSAI” esso risulta scritto, se ho ben contato, 594 volte, quel pensai avente la stessa funzione di una pausa, senza dubbio gli è servita come momento di riflessione, di silenzio per capire egli stesso con quale percezione e discrezione andava esponendo i fatti. Con quel pensai è come se rivolgesse al lettore un invito a non accettare quanto scritto tutto per vero o tutto per falso, perchè quanto va raccontando e valutando riguardo i suoi amici, è fondato esclusivamente sul suo punto di vista o sulla sua fantasia, pertanto è come se lo scrittore ci dicesse:“ Questo l'ho scritto, te l'ho raccontato, ti ho informato secondo il mio pensare ora tocca a te darne lettura e verificare se quanto narrato risulta veritiero o meno”. Thomas quindi dà grande importanza all'uso discrezionale della parola e questo si rileva nel suo scritto, usa riguardo e cautela, tutto è soppesato, senza giudizi personali e tutto ciò che racconta lo fa con grande sobrietà perchè è nelle sue intenzioni non voler etichettare o voler ferire alcuno, forse per non ricadere nello stesso errore di Gleen quello di aver dato del soccombente a Wertheimer, infatti in un racconto, a conferma di quanto rilevato a riguardo della sua discrezionalità, ci narra che quando Franz, il boscaiolo che curava la tenuta di Wertheimer gli chiede se sua sorella in seguito alla morte del fratello venderà la proprietà, egli, pur pensando che lo avrebbe fatto in quanto sarebbe stata la migliore soluzione, per non creargli preoccupazioni per l'eventuale perdita del lavoro, gli dice che non lo avrebbe mai venduto.

Nel suo lungo monologo ci racconta la storia di due giovani austriaci che si considerano perduti nel proprio vivere, non solo per essere nati in un paese dove solo il grigiore dell'aria e dei muri avevano contribuito ad abbassare il livello del buon umore e la loro sensibilità, ma soprattutto per aver vissuto forti contrasti all'interno delle proprie famiglie, situazioni infelici tanto da creare una esistenza disperata che neanche il grande benessere economico riusciva a compensare, più volte entrambi hanno pensato al suicidio quale unica soluzione per poter venir fuori dal grande mal-essere esistenziale. Sono due giovani che non hanno mai perdonato i loro genitori per averli messi al mondo, e per loro, l'unica valvola di sfogo per salvaguardare la propria condizione, diventa quella di dedicarsi allo studio della musica. Il loro primo incontro avviene in una delle più prestigiose scuole di Salisburgo il Mozarteum, già frequentata da un giovane canadese Glenn Gould, loro coetaneo; tre ragazzi, quindi, che si incontrano per studiare insieme e condividere la passione per una grande e nobile forma d'arte. Studiano pianoforte e ognuno si applica e si mette in gioco con le personali capacità, ma dopo tre mesi di ripetute lezioni, Gleen risulta essere il più preparato, il più bravo dei tre, il più sicuro di se stesso, il più audace; risulta vincente per la sua forte personalità e determinazione. L'originalità di Gleen, la sua genialità e le continue esercitazioni diurne e notturne fanno sì che il suo talento esploda in forma invasiva tanto da annientare le buone capacità dei suoi amici che sarebbero risultati altrettanto talentuosi se non si fossero confrontati con lui. La sua finalità è quella di stupire il mondo, il suo rapporto con lo Steinway è insuperabile, con il suo pianoforte entra in perfetta simbiosi tanto da identificarsi ad esso, infatti in seguito viene chiamato non più Gleen Gould, ma Gleen Steinway, una vera e propria macchina artistica capace di far soccombere quanti si mettono al suo confronto. La reazione degli amici è inaspettata e devastante per la loro carriera, Thomas regala il suo pianoforte e Wetheimer vende il suo, eppure hanno condiviso la stessa casa, gli stessi interessi, hanno studiato insieme e poi? Ma perchè due giovani altrettanto studiosi, promettenti, che amano la musica, amano suonare il pianoforte di fronte alle performances di Gleen reagiscono tirando i loro remi in barca? Ci è stato qualcosa di sbagliato all'interno di quelle relazioni? Certo, Gleen ha dato un duro colpo a Wertheimer etichettandolo come soccombente, ma per questi non è stata una cosa facile da incassare, e allora perchè a questo punto dopo una tale sconfitta non è stato in grado di reagire, mettendosi in discussione con se stesso, perchè innanzitutto non ha saputo riconoscere la superiorità di Gleen ? Perchè non ha assunto nei suoi confronti lo stesso atteggiamento che il grande organista Scarlatti ebbe nei confronti di Handel quando in un torneo musicale a cui partecipavano entrambi quest'ultimo risultato vincente non ebbe da parte del suo concorrente alcuna reazione negativa nei suoi confronti? Anzi, molto probabilmente, anche in quel momento Scarlatti potè farsi il segno della croce come forma di pieno riconoscimento come usava fare ogni qualvolta il nome del grande Handel veniva menzionato, perchè non ha voluto o saputo inchinarsi dinanzi alla sua superiorità? Forse non aveva capito che la vita non è una gara, non aveva ancora compreso che l'unica gara a cui dovremmo ambire, è quella che necessita di ali per poter raggiungere la grande Altezza Divina, ma quella dai più viene ignorata perchè negli esseri umani rimane sempre il grande errore e la grande presunzione di voler competere con l'altro per potersi sentire superiore se non proprio onnipotente, senza sapere che tutti siamo portatori di punti forti e deboli, siamo esseri diversi uno dall'altro, ognuno con le personali propensioni, con le proprie capacità, le proprie genialità ed i propri limiti che purtroppo il più delle volte non ci permettono di raggiungere la perfezione estrema. Wetheimer era un genio della musica ma si è lasciato impressionare da un altro genio, evidentemente ambiva ad essere il migliore, l'insuperabile, l'irraggiungibile. La sua morbosa ambizione dopo la sconfitta lo induce a non saper più ragionare, purtroppo Wertheimer come Thomas, non aveva mai conosciuto il ben-essere psico-fisico, non si riteneva persona unica, speciale, importante ed irripetibile, gli mancava l'autostima, il concetto di sé positivo, quel regolatore interno che agisce sulle nostre parole, sui nostri sentimenti sul nostro pensiero che controlla, organizza e regola le nostre azioni, Wertheimer è solo un grande emulatore capace di osservare per poter imitare chi gli sta accanto, e questo spiega il perchè non ha saputo o non ha voluto fare un passo indietro per riprogettare la sua vita che gli stava sfuggendo, gli mancavano la formazione di base, tutte quelle risorse utili alla costruzione di una identità autonoma e responsabile utile per il raggiungimento di ogni obiettivo. Solo se avesse messo in atto le grandi virtù della volontà e della perseveranza avrebbe potuto esplodere con tutta la sua genialità. Thomas, invece dalla sconfitta ha saputo trarre un grande vantaggio, senza indugio, senza crearsi il minimo scrupolo nell'abbandonare quindici anni di studi faticosi si dedica alla scrittura riprendendosi così nelle sue mani la propria vita, Thomas non soccombe difronte a qualcosa di irraggiungibile ed irrealizzabile è in grado di cambiare rotta, convoglia le sue risorse in un nuovo percorso che gli permette di sperimentare le personali potenzialità fino a scoprire di essere un talentuoso della scrittura. L'unico vincente in questa bella narrazione risulta essere Thomas, l'uomo capace di rinnovarsi e rinascere al contrario di Wertheimer che ha voluto e saputo trovare come svolta solo la morte. Wertheimer però prima di porre fine alla sua esistenza si vendica idealmente di Gleen, quel grande trionfatore che gli ha precluso il suo successo; ordina di farsi portare in casa sua da Salisburgo uno Steinway, il suo fantasma, ha invitato anche tutti i suoi amici musicisti tra cui Thomas ma questi per motivi ingiustificati non si presenta e così per più di 15 giorni e 15 notti Wertheimer non fa altro che martellare su quello strumento le note di Bach e di Handel, le opere tanto amate da Gleen Steinway e lo fa lo fa martellando con tutte le sue energie, con un accanimento sempre più insistente, assillante e asfissiante, sempre più incalzante fino a ridurlo in un oggetto stonato, scordato, inascoltabile fino ad indurre alla pazzia gli amici musicisti che erano stati costretti ad ascoltare fino al suo totale stato di sfinimento. Grande è stata la sua vendetta prima di soccombere.

martedì 4 febbraio 2020

Ci rivediamo lassù (Pierre Lemaitre) recSebAdd




Salotto in Biblioteca del 31/01/2020
«Ci rivediamo lassù» di Pierre Lemaitre

Commento di Sebastiano Addabbo


“Fiction storica” è questo il genere narrativo al quale possiamo associare la prima parte del romanzo, individuata con il titolo “Novembre 1918”; genere narrativo in cui “l’ambiente storico diventa funzione del racconto che condiziona e determina l’agire dei personaggi”.Infatti nel quadro drammatico, ma storicamente vero degli ultimi giorni della Grande Guerra e nello specifico scenario della trincea, Lemaitre dà vita ai tre personaggi protagonisti principali anche delle altre due parti del romanzo : “Novembre 1919” e “Marzo 1920”. Queste ultime due parti avranno connotazione letteraria diversa dalla prima, ma sempre riconducibile alla tradizione della grande Letteratura Francese dell’Ottocento o per usare una espressione di Harold Bloom del classicismo francese.Ma ritorniamo ai tre personaggi e cerchiamo di delinearli seguendo ovviamente le caratterizzazioni scelte dall'autore per ognuno di essi.Albert Maillard, semplice soldato, che aspetta la preannunciata prossima fine della guerra per porre fine all'inferno della trincea e riprendersi la speranza di poter sopravvivere al massacro. Dovrà però affrontare insieme ai suoi disperati compagni d’armi l’ennesimo assalto.Assalto, voluto e organizzato dallo spietato tenente Pradelle che persegue così, senza alcuno scrupolo un congedo da “eroe di guerra” quale presupposto per la sua avida voglia di ascesa sociale nell'imminente dopoguerra.È nel concitato avanzare verso il nemico che si intrecciano i destini di Albert e di Edouard Péricourt , suo compagno di trincea.Edouard Péricourt, figlio del potente banchiere Marcel Péricourt, durante l’assalto salverà la vita ad Albert rimasto sotterrato dallo scoppio di una bomba. Ma la vicenda avrà un ulteriore drammatico epilogo: appena salvato Albert, Edouard sarà colpito da una scheggia di granata in pieno volto che gli porterà via l’intera mandibola e la lingua trasformandolo in un volto mostruoso ed inguardabile .Non morirà Edouard, sopravvivrà, ma non per la sua famiglia alla quale non vorrà mai più far ritorno: sarà Albert infatti che comunicherà la falsa notizia della morte di Edouard.Come già accennato alle ultime due parti del romanzo non è più applicabile tout court il genere narrativo della “fiction storica” in quanto i fatti narrati possono essere traslati in ogni epoca storica ( l’unico scenario “vero”di riferimento diciamo “scenografico”, sarà costituito dalla atmosfera frenetica ma dolente di una Parigi del dopoguerra).Lo sfondo storico della carneficina della grande Guerra, cede il passo quindi alla pura inventiva di Lemaitre, pur riconoscendo allo stile narrativo tutti i canoni del realismo francese, con la specificità di un autore contemporaneo che racconta con incredibile efficacia una società di un secolo fa.Pura invenzione dell’autore è la truffa della sepoltura dei caduti francesi, architettata cinicamente da Pradelle (che nel frattempo è riuscito a sposare, per meschini calcoli economici, la sorella di Edouard Pericourt, Madeleine).Il fallimento dell’ignobile progetto truffaldino di Pradelle - grazie ad una indagine condotta da un ispettore Ministeriale, Merlin (personaggio che potrebbe ben figurare nella Commedia Umana di Balzac, anche se non si lascerà ammaliare dal “Dio Denaro”) e il conseguente abbandono della protezione da parte del suocero Marcel Pericourt, porranno termine all’ascesa sociale di Pradelle. Rifiutato con sdegno dalla moglie, anche per le sue ostentate avventure extraconiugali e privato di ogni sostegno economico, sconterà una pena in carcere e morirà in solitudine.Invenzione narrativa è la truffa ideata da Edouard dei monumenti ai Caduti della Francia,i cui truffaldini benefici saranno appannaggio soltanto dell’amico Albert e della sua donna Pauline.E cosa dire dei connotati grotteschi, attribuiti ad alcune situazioni e personaggi, descritti dall’Autore: quello per esempio di Albert quando inspira l’aria contenuta nella testa della carcassa del cavallo per salvarsi dal soffocamento oppure della inverosimile aggressione del Greco- lo spacciatore di morfina- allo stesso Albert .Lemaitre, infatti, in alcuni passi ci propone una descrizione terrificante, deforme e brutale della realtà che sfocia addirittura nel raccapricciante, come nella descrizione della ferita al volto di Edouard: “Il pugno chiuso di Albert affondò nella voragine della sua faccia .Quasi fino al polso.”(Capitolo 22).Immagini narrative che evocano il Victor Hugo grottesco senza che ad esso però venga contrapposto il “sublime” del Grande scrittore francese.Drammatico è il destino di Edouard, ridotto ad un “mostro” inguardabile per la incredibile ferita. Destinato ad una morte inevitabile tra atroci dolori; impossibilitato di articolare una parola; di potersi nutrire normalmente; di non potersi guardare allo specchio se non coprendosi il volto con maschere di carta da lui stesso disegnate. La sua morte sopraggiungerà con un incredibile colpo di scena narrativo dell’Autore.Il padre sarà inconsapevole causa della morte di un figlio che non ha mai amato per il suo essere “effemminato” (temine opportunamente utilizzato da Lameitre in quanto l’unico consentito, nel contesto lessicale e culturale dell’epoca, in luogo del più arduo “omosessualità”) .Epilogo tragico cercato da Edouard: la Morte che s’incarica di restituire un figlio, mai amato, all'affetto del padre.E poi pagine di vita quotidiana della Parigi di quegli anni, nelle quali possiamo apprezzare come Lemaitre, uomo del nostro tempo, riesca a disegnare così realisticamente immagini di vita della città parigina del secondo decennio del secolo scorso. Sono frammenti di digressione dell’autore intesi, forse, a voler farci dimenticare le atrocità della guerra, le aberrazioni malefiche dell’animo umano, il destino atroce di milioni di giovani francesi, la disperazione e l’abbandono dei reduci.Ma, per concludere, se i Grandi romanzieri del “classicismo francese”, cercano con alterne fortune di contrastare le perversioni malefiche degli esseri umani, con la speranza, spesso delusa, del trionfo della verità e della giustizia , in Lameitre invece il male (la carneficina della guerra, e il cinismo degli uomini) sembra prevalere nonostante le formalità di una giustizia umana. Infatti la ricerca della verità, quella ontologica, intesa cioè alla comprensione dei principi fondamentali dell’essere e dell’agire dei personaggi, è relegata in ambiti inesplorati dall'autore, il quale si limita ad affidare al narratore esterno e onnisciente un ruolo di fedele osservatore realistico delle vicende; ruolo privo di ogni partecipazione emotiva ai fatti narrati (a parte un qualche tono dissacrante e ironico) lasciando così alla sensibilità del singolo lettore il grado di coinvolgimento emozionale che comunque il romanzo inevitabilmente suscita .