domenica 28 febbraio 2021

Io, Tituba strega nera di Salem (Maryse Condé) recSebAdd

 

Salotto in Biblioteca del 25/02/2021

«Io, Tituba strega nera di Salem» di Maryse Condé




«La mia quarta di copertina» di Sebastiano Addabbo

L’approccio diretto in prima persona e i confidenziali dialoghi ritmano i tempi della narrazione e assolvono magnificamente anche al compito di dare voce ai personaggi. Voci che riecheggiano con specifica caratterizzazione nella nostra mente. Sembra di riascoltare, in particolare, Tituba nelle sue molteplici modulazioni fonetiche: ora di disperazione, o di gioia infantile, o di odio sofferto, di ingenua quanto travolgente fraseologia sessuale, di estasi poetica. Ci facciamo coinvolgere dal ritmo colloquiale della narrazione ricca di una sorprendente attualità sia del lessico che delle combinazioni sintagmatiche che costringono un lettore meravigliato a porsi una riflessione circa la evidente asincronia tra tempo storico della narrazione (1600) e modernità del linguaggio utilizzato da Tituba.
È una riflessione che, dopo un primo cenno di smarrimento, induce a formulare delle domande: ma Tituba con chi dialoga? e come individuare il narratario della finzione narrativa presupposto dal testo? e in quale dimensione temporale (o atemporale ?) collocare la narrazione? e ancora il costante richiamo a immagini di spiriti dei defunti a quale schema funzionale della narrazione è finalizzato? e quindi in definitiva quale “realtà” narrata ci vuole rappresentare l’Autrice?
Tutto ci viene disvelato nell’Epilogo ed ognuno troverà una propria risposta agli interrogativi proposti.
Con l’Epilogo Maryse Condè certamente si riconcilia con lo smarrito lettore riconsegnando (anche con splendide immagini di «realismo magico») all’attualità dei tempi d’oggi la storia di Tituba strega nera vissuta nel Nuovo Mondo del XVII Secolo.
Mondo nel quale gli schiavi Africani erano considerati l’antitesi degli essere umani ovvero «la feccia dell’Inferno» e l’accusa di stregoneria risultava essere un terribile espediente delle élite schiaviste per un tentativo di giustificazione di una così terrificante afflizione. Afflizione «credula e barbara» funzionale ad una perversa concezione di estremismo religioso che caratterizzò il Puritanesimo dei Padri pellegrini della New England degli ultimi anni del 1600.